Ascolto – Lo sputo ai mafiosi. La storia vera di Serafina Battaglia


Durata 15 minuti

Difficoltà ★★★☆☆
Livello B2 – C1

Carlo Lucarelli presenta “Dee Giallo”, il podcast True Crime di Radio DJ – il più imitato, l’originale. (Visita la pagina se ti è piaciuta questa storia).


Ascolta, leggi e rispondi alle domande del quiz

Serafina entra in tribunale a Palermo, è il gennaio del 1964. Dietro le sbarre della gabbia degli imputati ci sono tre uomini seduti dritti sulla panca, tranquilli e sorridenti nonostante l’accusa di omicidio…

Il tribunale di Palermo, 1964

L’inizio della storia – Serafina entra in tribunale a Palermo, è il gennaio del 1964. Dietro le sbarre della gabbia degli imputati ci sono tre uomini seduti dritti sulla panca, tranquilli e sorridenti nonostante l’accusa di omicidio. Sono mafiosi della famiglia di Alcamo e da che mondo è mondo i mafiosi in galera non ci vanno.

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Sì, capita che finiscano sotto processo, ma i testimoni ritrattano o spariscono, a volte anche fisicamente. Gli avvocati difensori tuonano, il castello accusatorio crolla e arriva l’assoluzione per insufficienza di prove. Mafia poi, mafia, cos’è la mafia? Non esiste, è solo un’invenzione per screditare la Sicilia.

Serafina entra in tribunale tutta vestita di nero. Quelli che sono stati ammazzati sono suo marito e suo figlio. Invece di andare a sedersi buona buona davanti al giudice, fa una cosa che i mafiosi non si aspettano. Nessuno se l’aspetta, non quella cosa lì.

Sono Carlo Lucarelli e quella che vi voglio raccontare è la bella e brutta storia di Serafina Battaglia, la vedova con la pistola.


Una donna ribelle

Serafina è una giovane donna molto decisa, molto determinata e anche molto indipendente, anche troppo per gli standard del luogo e dei tempi. Siamo in Sicilia, a Godrano, nelle campagne di Palermo…

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Sono gli anni ’40. Fina, così la chiamano, ha 20 anni quando si sposa per un matrimonio combinato dai genitori che le trovano come marito l’ortolano del convento delle suore da cui aveva studiato per un po’, prima di farsi cacciare via perché appunto troppo indipendente.

Antonino Lupo è un uomo tranquillo, ma a Fina non piace. Vanno avanti un paio d’anni così così, poi Fina incontra un altro uomo, Stefano Leale, che ha una torrefazione di caffè in paese, e lei lo vede tutte le volte che va a comprarlo. Stefano le piace, a Stefano piace Fina e succede che si innamorano.

Così Serafina fa una cosa che di solito non si fa. Ma lei è lei, l’abbiamo detto: decisa, determinata, indipendente, decisamente ribelle. Lascia Antonino e va a vivere con Stefano. Non si fa: la famiglia, la chiesa, la gente, il paese… è uno scandalo! Ma non importa.

Nel frattempo Serafina è rimasta incinta di un figlio, Salvatore, Totuccio lo chiama, e non si sa bene se sia di Antonino o di Stefano ma anche questo non importa. Il bambino viene riconosciuto da Antonino e adottato da Stefano, prende il nome di Salvatore Lupo Leale e Serafina si fa una famiglia nuova.


Il mondo della mafia

Ma oltre alla decisione e all’intraprendenza di Serafina è andato tutto bene anche per un altro motivo. Stefano Leale è un mafioso piccolo calibro…

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Lo ha introdotto suo cugino e nel retrobottega della sua torrefazione si riuniscono i capi di Cosa Nostra di Alcamo e Palermo. Non è proprio un boss, ma appartiene comunque a quella specie di aristocrazia che vanta privilegi diversi da quelli della gente comune.

Così il prete che non vuole farla entrare in chiesa sta zitto, purché se ne stia in fondo. La gente mormora “buttana” a mezza voce senza farsi sentire e anche Antonino se ne sta zitto perché lui è solo Antonino e Stefano, per quanto non proprio un pezzo da 90, è don Stefano.

Serafina non ci sta male in una famiglia mafiosa. Anzi, si interessa di quello che succede. Ascolta le riunioni nel retrobottega quando porta i caffè, si fa raccontare dal marito, lo consiglia, ci ragiona, conosce tutti gli uomini d’onore a cui porta rispetto. È naturale, ma se c’è da rispondere a qualche battuta che non le piace, lo fa con feroce ironia.

Perché una che a stare zitta quando non lo vuole lei non ci sta. È importante questo. Ricordiamocelo, per quello che succederà dopo: è diversa dalle altre mogli di mafiosi, grandi o piccoli che siano, diversa anche da tante altre donne siciliane di allora. Fa cose che le altre non fanno, tipo andare in campagna col marito quando don Stefano vuole insegnare a Totuccio a sparare con la pistola e impara anche lei, facendo saltare per aria le bottiglie sui sassi e tirando giù i merli dai rami. Se fosse un uomo, il capo della famiglia sarebbe lei.


Tutto cambia

Tutto bene per donna Fina Battaglia, moglie e madre di mafia, tutto bene da quel punto di vista, naturalmente, finché non succede una cosa che cambia tutto…

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Succede una cosa, anzi due, ma partiamo dalla prima. Don Stefano, anche grazie ai consigli di donna Fina, comincia a fare carriera e finisce per dare fastidio ad altri più forti e più cattivi di lui. C’è qualche sgarro: hanno ammazzato il boss Dal Rigo detto il colonnello e in molti pensano che c’entri qualcosa anche don Stefano. Insomma c’è un po’ di gente a cui sta, diciamo così, antipatico.

Fina non è una che sta zitta. Lei con i mafiosi ci parla: parla con Salvatore Greco detto Cichiteddu – che è un tipo di uccellino perché zio Totò, è basso di statura – ma è uno dei capi della commissione di Cosa Nostra e lui le assicura che è tutto a posto e che prima di fare qualcosa a suo marito devono passare sulla sua testa. Non è vero.


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La tragedia

Il 9 aprile 1960, è un sabato, vigilia della domenica delle Palme, Don Stefano esce dal negozio assieme al figlio Totuccio e a Vincenzino, il picciotto che si è preso per guardarsi le spalle…

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Ma ad aspettarlo lì in via Torino, proprio davanti al negozio, ci sono tre uomini che appena lo vedono aprono il fuoco. Don Stefano finisce contro un muro e scivola a sedere per terra, la testa piegata da una parte, morto, mentre Vincenzino e Totuccio si nascondono dietro una Lambretta.

Serafina sa chi è stato: conosce i picciotti che hanno sparato. Ma soprattutto è sicura di chi siano i mandanti del delitto: Vincenzo Rimi e suo figlio Filippo, i capi della mafia di Alcamo. Sa anche cosa bisogna fare in una famiglia come la sua: una come lei non ha nessun dubbio su quello che si deve fare. Bisogna ammazzarli e lo deve fare Totuccio, che in una foto del funerale regge sulla spalla destra l’angolo della bara del padre, la guancia schiacciata contro la cassa e i denti stretti.


La vendetta mancata

Da quel momento, tutte le mattine quando va a svegliare Totuccio, Serafina dice sempre la stessa frase: “Alzati che hanno ammazzato tuo padre. Alzati e valli ad ammazzare.”

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Totuccio non è il tipo. Se fosse un uomo, Serafina ci andrebbe lei, ma Totuccio è diverso. Una volta ci prova: esce con due amici, una pistola, ha avuto una soffiata su dove stanno i Rimi, ma non li trova e torna a casa.

Poi il 30 gennaio del 1962, mentre sta percorrendo una stradina nella campagna di contrada Uditore, periferia di Palermo, Totuccio finisce come suo padre: steso a terra contro un muretto in un lago di sangue.

Serafina arriva quando il corpo è ancora per terra, gli pulisce il volto dal sangue con un fazzoletto, si siede su una sedia che hanno portato e aspetta che arrivino ambulanza e carabinieri. Pensa che Totuccio era ancora un “picciriddu”, un ragazzino: aveva 21 anni e 5 mesi meno tre giorni, come preciserà sempre, ed è importante anche questo perché è in questo momento che cambia di nuovo tutto.


La decisione che cambia tutto

A Palermo c’è un giudice istruttore che si chiama Cesare Terranova. È uno bravo, ostinato e competente. Lo sanno tutti, lo sa la mafia che lo farà ammazzare nel settembre del 1979 assieme alla sua scorta, il maresciallo di pubblica sicurezza Lenin Mancuso…

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E lo sa anche Serafina che pochi giorni dopo il funerale si presenta al suo ufficio in procura. È sola, la famiglia non l’ha voluta accompagnare, le sorelle hanno cercato di farle cambiare idea. “Ci farai ammazzare tutti” ha detto la madre, ma lei non ha paura. Come dirà in un’intervista a TV7, il settimanale d’approfondimento della RAI qualche anno dopo: “Non ne avrò mai paura in vita mia.”

Perché Fina ha deciso di fare una cosa che non ha mai fatto nessuna donna di mafia prima di lei: parlare. Serafina Battaglia è la prima donna a rompere l’omertà mafiosa.

E attenzione, perché donna Fina non è una come le altre e il giudice Terranova se ne accorge subito. Non è mai stata soltanto una moglie, una madre, una casalinga relegata nell’ombra della casa dalle convenzioni familiari, sia di quelle comuni che soprattutto di quelle mafiose. No, lei era troppo curiosa, troppo decisa, troppo partecipe, troppo ribelle.

Lei conosceva tutti gli affari del marito e dei suoi amici mafiosi. Lo abbiamo detto: se fosse stato un uomo, il capo sarebbe stata lei. Come dice Marzia Sabella in un bellissimo libro che si chiama “Lo sputo” e che racconta questa storia, Serafina Battaglia è un’enciclopedia della mafia e ha deciso di parlare.

Quando si presenta al giudice Terranova, Fina ha con sé due fotografie: quella di Stefano, suo marito, e quella di suo figlio Totuccio. E l’aver ammazzato il piccilù, il ragazzino – anche se aveva già 20 anni, anzi 21 e 5 mesi meno 3 giorni – e lei l’aveva mandato ad ammazzare gli assassini del marito, perché un figlio per una madre è sempre un ragazzino… ecco, è quello che le ha fatto cambiare idea.


La testimone coraggiosa

Serafina Battaglia si trasforma: parla col giudice. “Onesto come Terranova non ce n’è sulla terra” dirà nell’intervista a TV7. “Noi due possiamo fare battaglia dicendo sempre la verità e con coscienza.”

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Parla nei processi come testimone, non solo il suo ma anche quegli altri di cui ha conoscenza dei fatti a Bari, a Lecce, a Perugia. È la prima volta che esce dalla Sicilia. Zittisce i mafiosi durante i confronti, batte i piedi per terra, sventola in aula il soletto col sangue di suo figlio.

Parla nelle interviste in televisione, diventa un personaggio pubblico, sempre vestita di nero con uno scialle che le copre la testa incorniciando il volto rotondo. La sua lingua che le fa dire di tutto senza nessuna paura: nomi e cognomi, date, ma anche giudizi e maledizioni. E nella borsetta, tutte le volte che esce, la pistola. Lei la sa usare bene.

È sola perché la famiglia non c’è e all’inizio fa anche fatica a trovare un avvocato, finché un grande giornalista come Mario Francese – grande e bravissimo, e infatti la mafia ammazzerà anche lui nel ’79 – non l’aiuta a trovarne uno: Pietro Renda.

Per questo quando al processo la vedono arrivare per sedersi davanti alla corte, gli imputati dietro la gabbia che sorridono perché la mafia non si condanna mai, la mafia non esiste, cambiano subito espressione. Serafina Battaglia, donna Fina, è una che parla con durezza e precisione e tante volte, quando passa davanti agli imputati, gli sputa.


Una rivoluzione femminile

Sono importanti le donne nelle mafie: spesso sono le custodi della cultura mafiosa, sono quelle che educano i figli a diventare come i padri…

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Che convincono ragazzi e ragazze che la loro vita non può essere come quella degli altri, che non potranno diventare quello che vogliono, sposare chi gli pare, essere quello che gli pare. Magari omosessuali? Non sia mai! Peccato mortale. Sono figli e figlie di boss e diventeranno boss o mogli di boss, destinate a sostenere il marito nella buona e nella cattiva sorte.

Per questo quando sono le donne a collaborare, la struttura mafiosa scricchiola ancora più forte. Ce ne sono sempre di più a mano a mano che si rendono conto della vita – una brutta vita che si conclude spesso al cimitero, in galera e comunque senza libertà – che attende i figli.

Serafina Battaglia è la prima a farlo e lo fa in un modo talmente caustico, deciso e libero che è una vera rivoluzione. Non si era mai sentita una donna dare dei cornuti ai mafiosi, e non per colpa delle mogli – che quelli sono fatti loro – ma proprio perché sono cornuti nell’anima e dovrebbero levarsi la coppola perché le corna ci stanno più meglio.

E lo ripete in tribunale: “Io, donna Serafina Battaglia, vi dico e vi giuro che tutti i mafiosi sono tutti cornuti.” È un’ironia, una presa in giro della mafia che vedremo solo più avanti con Peppino Impastato e le cronache radiofoniche di Mafiopoli con il suo boss Tano Seduto. Anche lui, Peppino, ucciso dalla mafia nel 1979.


Le parole di una rivoluzionaria

C’è una bella intervista che nel 1964 donna Fina rilascia al giornalista Mauro De Mauro – anche lui uno bravo, anche lui ucciso da Cosa Nostra nel 1970…

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Sul giornale “L’Ora” di Palermo escono frasi mai sentite prima, ripeto, soprattutto da una donna una come lei: “I mafiosi sono pupi, fanno gli spavaldi solo con chi ha paura di loro, ma se si ha il coraggio di attaccarli e demolirli diventano vigliacchi. Non sono uomini d’onore ma pezze da piedi.”

E soprattutto: “Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo.”


L’epilogo amaro

Non finisce benissimo. L’abbiamo detto fin dall’inizio che questa è una bella e brutta storia…

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Brutta perché nonostante il coraggio e la determinazione di Serafina non sono ancora i tempi del maxi processo, dei lenzuoli bianchi, della rivolta della coscienza civile, delle rivelazioni su mafia, politica ed economia, le retate, mafia al Nord, i processi e tutto quello che sappiamo e facciamo ora.

Il processo agli esecutori dell’omicidio di don Stefano Leale si conclude il 16 febbraio del 1968: la Corte d’Assise di Palermo li condanna tutti all’ergastolo. Il 16 marzo del 1968, appello a Perugia dove si è spostato il processo: conferma della sentenza, ergastolo.

Alt! Nel 1971 la Corte di Cassazione riesamina la sentenza e annulla il processo che si deve rifare. Il 13 febbraio 1979: assoluzione per insufficienza di prove. Non erano ancora i tempi.

Serafina Battaglia muore il 10 settembre del 2010 a 84 anni nel suo appartamento nel quartiere Olivuzza che aveva trasformato in una specie di santuario.

Brutta storia quindi? Bella storia però, perché se allora non erano ancora i tempi, dopo lo sono diventati e anche grazie a Serafina Battaglia che un giorno ha sputato in faccia ai mafiosi e ha fatto la rivoluzione.


In conclusione a questo episodio, questa storia ci ricorda l’importanza del coraggio civile e di come anche una sola persona possa cambiare il corso della storia. Serafina Battaglia è stata la prima donna a rompere l’omertà mafiosa, aprendo la strada a tutte le collaboratrici di giustizia che sono venute dopo di lei.


“Serafina Battaglia: la donna con la pistola che sfidò la Mafia” è un episodio di Dee Giallo di Carlo Lucarelli.

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