Oggi studieremo le frasi scisse, la dislocazione e altri strumenti della sintassi italiana
Leggi e ascolta queste frasi.
- Federico non vuole andare in piscina.
- È Federico che non vuole andare in piscina.
- È Federico a non volere andare in piscina.
Chiaramente, Federico non ha voglia di andare in piscina e lo abbiamo detto in tre modi differenti. Quanto sono diverse queste frasi? Qual è esattamente il focus, il significato centrale della frase?
Le frasi scisse
Non dobbiamo mai dimenticare che ad ogni verbo corrisponde una frase, sia essa principale o subordinata.
Nel primo esempio abbiamo una sola frase.
- Federico non vuole andare in piscina.
Il verbo andare, sostenuto da volere, costituisce il centro, l’azione principale di questa frase.
Nel secondo esempio, la stessa frase viene tagliata in due, scissa in due parti.
Dicevamo, la frase viene scissa con l’aggiunta del verbo essere:
- Federico non vuole andare in piscina. —>
- È Federico (1) / che non vuole andare in piscina (2).
In questo modo le frasi diventano due, ma abbiamo spostato l’attenzione di chi legge o ascolta su Federico. I due esempi diventano così differenti.
Nel primo caso, Federico non vuole andare in piscina. E’ un fatto descritto semplicemente.
Nel secondo, solo Federico non vuole andare in piscina. E’ una sua decisione, probabilmente diversa da quella dei suoi amici che invece vogliono andare in piscina.
L’uso della frase scissa è un trucco, un artificio chiamato focalizzazione, ovvero lo spostamento dell’attenzione di chi legge o ascolta su un elemento particolare ella frase.
Dunque, l’aggiunta del verbo essere e la creazione di una frase principale servono a focalizzare l’attenzione su uno specifico elemento.
In teoria, possiamo cambiare il soggetto di una frase scissa con “che“. Per esempio:
- E’ Federico che (noi) vogliamo portare in piscina.
Federico è il soggetto della prima frase, “noi” è il soggetto della seconda.
In questo caso parliamo di frase scissa esplicita, dove i soggetti cambiano, non possono essere sottintesi.
Veniamo alla terza frase che abbiamo scritto all’inizio.
- E’ Federico (1) a non volere andare in piscina (2).
Anche questa è una frase scissa. Il significato è identico alla seconda frase con “che“. Per unire le due frasi, questa volta usiamo la preposizione “a“.
Questo tipo di frase scissa si chiama implicita: siccome il soggetto della prima frase è uguale a quello della seconda, possiamo usare un infinito al posto di un verbo coniugato. L’infinito, insieme al participio e al gerundio, è un modo indefinito che ha un soggetto implicito, “preso in prestito” dalla frase principale.
La frase scissa esplicita (con “che”) è più comune e versatile della frase scissa implicita (con “a”).
Possiamo arricchire la frase usando diverse preposizioni che normalmente introducono dei complementi. Per esempio:
- Sono le mie scarpe che vuoi buttare? (le scarpe = oggetto)
- È sabato che parto per le vacanze. (sabato = tempo)
- È con Laura che voglio sposarmi. (con Laura = compagnia)
- È per questo che ti ho telefonato. (per questo = scopo)
- Era al futuro che pensavo. (al futuro = termine)
- È stato per il raffreddore che non sono uscito. (a causa di…)
- È con odio che me lo hanno detto. (con odio = in quel modo)
- È di politica che non amo parlare. (di politica = argomento)
Esistono molti altri complementi e preposizioni che possiamo trasformare per costruire una frase scissa.
In una frase scissa possiamo anche usare un’altra azione, un verbo, spesso all’infinito o al gerundio.
- È lavorando duro che si ottengono risultati.
- È correre che proprio non mi entusiasma.
Nell’italiano di tutti i giorni, si usano le frasi scisse in mille modi differenti. Uno degli usi più comuni descrive “da quanto tempo” si fa o non si fa una cosa. La preposizione “da” può spesso essere omessa.
- È (da) una vita che non ci vediamo.
- È (da) un anno che provo a telefonarti ma non ti trovo mai.
- Era dall’estate scorsa che volevo vedere quel film.
Da buon milanese, devo notare che nella mia città si usano comunemente le frasi scisse, soprattutto nelle domande. So che in altre parti d’Italia ci prendono in giro per questo nostro modo di parlare.
- Dov’è che andate?
- Cos’è che vogliono quelli lì?
- Da dov ‘è che venite?
- Da quant’è che sei arrivato?
Basterebbe chiedere “Da quanto sei arrivato?”, ma a Milano molti parlano così perché in dialetto milanese la struttura delle domande è spesso una frase scissa.
La dislocazione
Abbiamo prima accennato alla focalizzazione, cioè all’uso di strumenti per spostare l’attenzione di chi legge o ascolta una frase su un elemento particolare. Le frasi scisse sono uno di questi strumenti.
Un altro importante strumento in questo senso è la dislocazione.
Dislocare, è intuibile, significa cambiare posto a qualcosa, spostare un oggetto da un luogo a un altro. Con la dislocazione, si sposta e si aggiunge un elemento che a prima vista è superfluo.
La dislocazione a sinistra
Leggi e ascolta queste frasi.
- Il bucato, lo faccio domani.
- Le ragazze, le hai invitate tu?
- La carne, non la mangio da un bel po’.
- Le tue scuse non le accetto.
- Dal dottore, non ci vado mai.
- Con te non ci voglio parlare.
- In vacanza, vuoi andarci da sola?
- Soldi in tasca, ne ho davvero pochi.
- A Marco glielo spiego io, se vuoi.
- I compiti, te li fai da solo.
Negli esempi qui sopra, possiamo notare qualcosa di insolito, illogico.
- Domani faccio il bucato.
—>
- Il bucato lo faccio domani.
Nella seconda frase convivono l’oggetto (a sinistra) e il pronome che lo dovrebbe sostituire. Tutte queste frasi sono corrette e codificate nella grammatica italiana. Siamo davanti alla cosiddetta dislocazione a sinistra, che è il cambiamento della sintassi di una frase semplice.
Negli esempi, possiamo vedere pronomi diretti, indiretti, “ci” e “ne” che ripetono la parte iniziale della frase, rinforzandola. In questo caso, spostando l’oggetto a sinistra possiamo notarlo subito.
La dislocazione a destra
Riprendiamo le stesse frasi di prima, spostando l’oggetto alla fine della frase.
- Lo faccio domani, il bucato.
- Le hai invitate tu, le ragazze?
- Non la mangio da un bel po’, la carne.
- Non le accetto, le tue scuse.
- Non ci vado mai, dal dottore.
- Non ci voglio parlare, con te.
- Vuoi andarci da sola, in vacanza?
- Ne ho davvero pochi di soldi in tasca.
- Glielo spiego io a Marco, se vuoi.
- Te li fai da solo, i compiti.
In questi esempi, speculari ai precedenti, parliamo di dislocazione a destra. Il pronome è all’inizio della frase e anticipa l’oggetto, che è posto alla fine, è appunto dislocato a destra.
Antonio Franchi – Anna Maria Luisa bambina – 1682
C’e anche la famigerata forma: a me mi, di cui la crusca discuteva qui (https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/a-me-mi-e-una-forma-corretta/61). A me questa forma sembra una sorta di dislocazione a sinistra che rende una sfumatura di “per quanto a me”. “A me mi piace l’acqua gassata”, cioè, “non so che pensi tu, ma per quanto mi riguarda, mi piace l’acqua gassata.” Ciò detto, credo di aver sentito la frase senza particolare enfasi.
La discussione intorno a “a me mi…” si perde nella notte dei tempi. In realtà è una forma diffusa nella lingua parlata che fa storcere il naso a diverse persone, compreso il sottoscritto, quando viene scritta da qualche parte. La Crusca cita Manzoni, che però inserisce questa forma “pleonastica” del doppio pronome nella lingua popolare lombarda. A scuola, molti anni fa, ci dicevano che è un errore grave. Forse non è un errore, ma a me (mi) fanno male le orecchie quando lo sento dire. Ciao.